Recensione
Amaro e drammatico, ma anche grottesco e comico, ironico e appassionato, questo nuovo romanzo di Giuseppe Pontiggia racconta in prima persona il rapporto di un padre con un figlio disabile, la stupidità e l`incubo di una vana ricerca della normalità. Il padre, un giovane insegnante, mette a nudo le proprie oscillazioni tra responsabilità e fuga nei rapporti affettivi e nella vita interiore. Il suo insegnamento al figlio, dalla nascita alla adolescenza, si trasforma progressivamente nell`apprendimento di un`arte del vivere che il figlio scopre per sopravvivere alla minorazione. Intorno a questo asse del racconto si muove una folla di personaggi che incarnano le reazioni spesso sconcertanti di fronte allo `sconcerto` dell`handicap: medici impreparati e cinici, presidi ricattatori, congiunti temibili, Centri di recupero nonché di nevrosi; ma non mancano esempi di sconfinata dedizione (la moglie del narratore) e solidarietà altruistica (la maestra elementare e la psicologa) che smentiscono la tendenza diffusa a ignorare o svalutare l`azione del bene.
I bambini disabili, come suggerisce il titolo, nascono due volte: la prima li vede impreparati al mondo, la seconda è una rinascita affidata all`amore e alla intelligenza degli altri. Ma questa rinascita esige anche negli altri un cambiamento integrale nei confronti dell`handicap: un limite fisico o mentale che, direttamente o indirettamente, prima o poi, ci coinvolge tutti. E che - in un`epoca dove si esalta la sfida fine a se stessa come superamento del limite - impone la sfida più importante, che è la consapevolezza e l`accettazione del limite.
Il romanzo alterna dialoghi di immediatezza rivelatrice a riflessioni inesorabili, avvicenda avventurosi salvataggi in mare a luminosi viaggi mediterranei tra mito, turismo e disabilità, intreccia capitoli paradossali sulle nostre preghiere a ritratti di forte chiaroscuro.
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