Recensione
Nella trasparente luminosità di una precoce alba nordica, il corpo rigido e composto di una ragazza pende dal ramo di un albero di un piccolo bosco, che ancora mostra i segni dei suoi giochi infantili. Ai piedi ha gli stivali da vela di sua madre, il cappio di nylon è annodato con precisione alla maniera che le ha insegnato suo padre quando andavano per mare. Un padre e una madre si interrogano, come se ora lo sguardo della figlia fosse puntato su di loro, sulla fragilità dell`amore, l`incomprensibile sublimità della morte e il dolore della bellezza, che a volte può far male in modo quasi insopportabile. Le voci narranti di questo romanzo non si uniscono in un canto corale ma, come in un`orchestra, rimandano l`una all`altra, si chiamano, raccontano la propria versione del passato senza segreti né reticenze: semplicemente la verità, la loro verità. In questa storia forte e intensa - che ci riporta alle atmosfere di Bergman e ai drammi di Ibsen - una poetica sensazione di leggerezza avvolge anche le esperienze più difficili e dure; lo stile asciutto, privo di qualsiasi retorica, e la distanza da cui l`autrice osserva ogni cosa, anche i risvolti più intimi dei personaggi, dona alla vicenda una drammaticità rarefatta, quasi metafisica. E, miracolosamente, rende più tangibile la percezione del dolore, il disperato tentativo di comunicare e la tragedia del non riuscirci. Premio della Critica Norvegese 2003, "Sogna un piccolo sogno di me" è stato riconosciuto come una della più alte espressioni della letteratura nordica degli ultimi anni.
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