Recensione
Prima entra il nasone, poi i due occhi azzurrissimi e sgranati, poi tutto il resto. Un corpo filiforme di un metro e 88 per poco più di sessanta chili in un dolcevita e un completo grigio che potrebbe reggersi da sé, se non fosse per i due trampoli. Un airone cenerino vestito da lord inglese.Un pomeriggio mi siedo nel corridoio fuori dal suo ufficio, con la porta sempre socchiusa. Lo spio dalla fessura per una mezz`oretta mentre scrive il suo editoriale sull`Olivetti Lettera 32. E assisto al prodigio che si ripete ogni giorno: è come una mantide religiosa in trance, la testa curva sulla tastiera, il naso quasi conficcato nel foglio che avanza sul rullo, i due indici che picchiettano senza sosta come sui tasti di un pianoforte, a un ritmo musicale. Poi, arrivato in fondo, estrae il foglio, rilegge rapidamente in tralice con gli occhiali sulla punta del naso, aggiunge un paio di virgole a pennarello, firma, sorride e consegna. Già sa che il pezzo è lungo il giusto, a misura della sua colonna in prima pagina («Niente "giri" nelle pagine interne: giramento di pezzo, giramento di coglioni»). Due cartelle dattiloscritte e immacolate, senza correzioni né tagli né cancellature. Letizia Moizzi, la nipote che lavora con noi, mi racconta che spesso lo zio Indro gli editoriali li sogna la notte e glieli recita, anzi glieli "canta", durante la passeggiata mattutina prima di scriverli, per accertarsi che abbiano il ritmo e la musica giusti. Il finale è sempre un lampo al magnesio, un fulmen in clausola. In settantadue anni di carriera, mai un articolo tirato via, o banale, o spento, o privo di un guizzo, di una trovata, di un`idea («una sola però: due sono già troppe»): l`esatto opposto del giornalismo medio di oggi.Ne troverete tanti, di quei miracoli, in questo libro. L`ho scritto per chi Montanelli l`ha letto, ma l`ha dimenticato; per chi Montanelli avrebbe potuto leggerlo, ma non l`ha fatto perché stava dall`altra parte della barricata; e, soprattutto, per chi Montanelli non
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