Recensione
`Matto` è un termine crudo ma nello stesso tempo pieno di affetto. E lo preferisco a tante parole vestite un po` meglio ma che sono meno spontanee e che, quindi, non avrebbero saputo raccontare la mia storia nella psichiatria assieme ai miei matti". É proprio questa la storia che Vittorino Andreoli racconta nel suo nuovo libro con l`intento e la speranza di fare capire di che cosa i malati di mente abbiano davvero bisogno e di contribuire, con i suoi suggerimenti, a evitare che gli errori che hanno segnato il passato vengano di nuovo commessi. L`autore rievoca così la sua esperienza sul campo, dal suo primo ingresso al manicomio di Verona al giorno in cui egli stesso decretò la sua "morte come psichiatra", raccontandoci di fatto che cosa è stata per oltre mezzo secolo la psichiatria in Italia (e nel mondo), i progressi nel campo della diagnostica e nella ricerca farmacologica e il passaggio dalla reclusione del manicomio a una condizione di presunta libertà, che non risolve e rischia forse di accentuare il problema spesso rimosso della pericolosità. In pagine intense, in cui trovano spazio entusiasmi e delusioni, drammaticità e ironia, indignazione, lirismo e profonda umanità, Andreoli si rivolge al lettore con la schiettezza e la lucidità che da sempre lo contrassegnano, raccontando un`appassionante biografia professionale, ma anche un mosaico di vite mancate in cui specchiare la nostra normalità. E rimetterla in discussione.
Questo libro è un viaggio nella scienza, il bilancio di una vita e un appello a quel sentimento di umanità e partecipazione che sempre deve animare il rapporto tra lo psichiatra e i "suoi matti".
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