Recensione
Romano Prodi, vincitore della prima campagna elettorale dell’Ulivo (1996). Presidente di un governo che ha portato l’Italia in Europa e ha permesso l’ingresso dell’Italia nell’area della moneta unica, presidente della Commissione europea negli anni 2000-2005, in cui si è compiuta una riforma radicale della Commissione, delle sue funzioni, della sua trasparenza ed efficienza (l’Unione europea è passata da 15 a 25 membri, ed è stata redatta e firmata la sua Carta costitutiva), Romano Prodi è ora candidato a guidare il governo di centrosinistra a capo dell’Unione, coalizione di tutti i partiti dell’opposizione italiana.
Prodi è un personaggio-chiave della politica italiana ed europea – dunque mondiale – da oltre un decennio. Eppure appare a molti un estraneo alla politica, fatto di un materiale diverso.
È vero? Quanto è diverso? E perché questa diversità sembra capace di creare un legame forte e diretto con i cittadini? Prodi, nel corso di una serie di conversazioni con Furio Colombo, ripensa a ciò che ha fatto e riflette su ciò che farà e sulla speranza di portare l’Italia fuori dai gravissimi problemi che l’attanagliano, la bloccano e al momento sembrano irrisolvibili.
È una conversazione sul mondo, la guerra, il terrorismo, i pericoli planetari e i pericoli quotidiani. È una conversazione sul costo della vita, sull’angoscia delle famiglie, sull’esclusione dei giovani e la ghettizzazione degli anziani. È una conversazione sul lavoro che diventa più debole e scarso, sulle imprese che sembrano incapaci di competere, su un’economia in cui la finanza divora l’industria, su valori sempre invocati e sempre negati, sulla solitudine, sul senso di sconnessione che fa sentire molti cittadini lontani dalla politica, estranei, ostili. Sono le ragioni che hanno portato alla candidatura e alla guida di Prodi, che si diranno nelle primarie e nella campagna elettorale. Ma anche qualche ragione e qualche riflessione in più.
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