Recensione
Dopo la fine della grande guerra, un ragazzo sale sul Monte Grappa, per ordine del padre, a recuperare rame, piombo, viveri in scatola; il proposito è quello di aiutare la famiglia in ristrettezze economiche, in realtà le ‘escursioni’ del giovane recuperante sono un viaggio di maturazione che gli fa conoscere profondamente la vita.
Il Grappa s’impone attraverso tutto il romanzo come un gigante inerme: come orizzonte della tradizione contadina comunitaria, arcadia dei malgari, poi come campo di battaglia dove i militari distruggono e uccidono. Quindi come immenso serbatoio di raccolta e recupero di materiali, presidiato dall’esercito italiano; come monte sacro alla patria voluto dal fascismo. Infine come Monte naturale al quale ritornano i gufi e i corvi reali dopo la bufera, e dove riprende la vita semplice e vera animata dallo sbocciare dei fiori di montagna.
Il romanzo, in prima persona, è di una bellezza narrativa sorprendente: piano e suggestivo, attraversato da riflessioni incisive, dal continuo inserirsi della parlata veneta che alimenta uno humour popolaresco che fa schiettamente sorridere e ridere. È poi romanzo comunitario di una terra e di una gente, ancora contadine, con personaggi di forte impatto come don Sante, la Cueatona e Moro Frun, e che riserva un posto privilegiato a Bassano, “la città dei signori e delle torri”.
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